Gli sgombri, i pesci pelagici caratterizzati dalle striature che hanno sul dorso, sono animali adattabili: vivono in mari molto diversi, dalle coste del Mediterraneo fino alle isole a nord della Scozia.
Negli ultimi vent’anni inoltre hanno espanso il proprio areale verso nord, arrivando fino alle acque della Groenlandia, delle isole Svalbard e dell’Islanda. Non si sa bene perché sia successo: potrebbe dipendere dal riscaldamento globale, dall’aumento del numero degli esemplari, o da vari fattori insieme.
In ogni caso le nuove abitudini degli sgombri stanno creando delle dispute internazionali, e potrebbero crearne sempre di più, perché ora anche l’Islanda vuole la sua parte nel sistema di quote di pescato stabilite tra i paesi del Nord Europa, come è stato spiegato in un articolo nell'Atlantic.
Fin dalla fine dell’Ottocento i paesi che si affacciano sul mare del Nord e sull’oceano Atlantico cercano di mettersi d’accordo su quanto e quale pesce può pescare ciascuno di loro. Nel 1902 fu fondato il Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare (ICES), un’organizzazione scientifica con sede a Copenaghen che oggi ha 20 paesi membri e, per ciascuna specie pescata commercialmente, stima ogni anno le quantità che si possono pescare senza portare all’estinzione delle popolazioni. A partire dalle stime dell’ICES, i paesi che per ragioni geografiche o storiche pescano certe specie di pesci si mettono d’accordo su come ripartirsi le quote. Questo almeno in teoria: da più di 10 anni, cioè da quando gli sgombri hanno cambiato le loro rotte migratorie, i paesi del Nord Europa che li pescano non riescono a trovare un compromesso.
23/02/2021
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