La Corte costituzionale ha confermato, con la sentenza n. 196, la legittimità dei limiti ai mandati consecutivi per i sindaci, una questione che ha sollevato un acceso dibattito tra le istituzioni e i rappresentanti locali. Secondo la Consulta, la normativa che regola il numero massimo di mandati consecutivi, introdotta con il decreto-legge n. 7 del 2024, non è manifestamente irragionevole e costituisce un bilanciamento adeguato tra i diritti costituzionali in gioco.
La legge prevede che:
- Nei Comuni con meno di 5.000 abitanti non ci siano limiti di mandato;
- Nei Comuni con una popolazione compresa tra 5.001 e 15.000 abitanti, il limite sia fissato a tre mandati consecutivi;
- Nei Comuni con più di 15.000 abitanti, il limite resti fermo a due mandati consecutivi.
La Regione Liguria aveva contestato questa impostazione, ritenendo irragionevole il criterio basato sulle dimensioni demografiche dei Comuni, e aveva chiesto l’estensione del limite di tre mandati anche ai Comuni con più di 15.000 abitanti. Tuttavia, la Corte ha respinto le argomentazioni, ribadendo che spetta al legislatore individuare un punto di equilibrio tra i vari interessi costituzionali coinvolti, e che tale scelta è sindacabile solo se palesemente priva di logica.
La protesta dell'Anci
Nonostante il verdetto, l'Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) si è dichiarata insoddisfatta. L’Anci considera "ingiustificata" la differenza di trattamento tra Comuni con 14.999 e 15.001 abitanti, sottolineando l’apparente arbitrarietà del criterio. I rappresentanti dei Comuni chiedono una riforma complessiva che superi queste distinzioni.
"L'Italia, insieme alla Polonia, è l'unico Paese europeo a prevedere limiti di mandato per i sindaci", ha ricordato l'Anci. In altri Stati membri, come il Portogallo, esistono limiti fissati a tre mandati, mentre nella maggior parte dei Paesi non vi sono restrizioni di questo tipo.
I principi della Corte
La Corte costituzionale ha difeso la scelta normativa sottolineando che i limiti ai mandati servono a garantire:
- L'effettiva parità di condizioni tra i candidati;
- La libertà di voto degli elettori;
- Una competizione elettorale genuina;
- Il fisiologico ricambio della rappresentanza politica;
- La democraticità degli enti locali.
Secondo la Consulta, la diversificazione dei limiti in base alle dimensioni demografiche risponde alla necessità di tenere conto delle differenze negli interessi economici e sociali gestiti dai Comuni. "Si tratta di un esercizio non manifestamente irragionevole della discrezionalità legislativa", si legge nella sentenza.
Verso una riforma?
Il dibattito è tutt’altro che concluso. La richiesta dell’Anci di una revisione legislativa potrebbe riaccendere il confronto tra Governo, Parlamento e amministrazioni locali. Rimane da vedere se la politica riuscirà a trovare un nuovo equilibrio che soddisfi sia le esigenze di rappresentanza democratica sia quelle di stabilità e continuità amministrativa nei territori.
Intanto, la sentenza della Consulta segna un punto fermo: i limiti di mandato sono, per ora, parte integrante del sistema politico italiano, in nome di un equilibrio tra partecipazione, alternanza e trasparenza.
11/12/2024
Inserisci un commento