Difficile non ricordare la Campagna Detox, intrapresa da Greenpeace nel 2011, con la quale Nike e Adidas, seguite ben presto da altre marche di rilievo come Puma e H&M, venivano poste nel mirino e sollecitate ad abbandonare l'uso di sostanze chimiche dannose nel processo produttivo di scarpe e abbigliamento. Questo fatto contribuì a sensibilizzare le coscienze e divulgare informazioni sulla prassi produttiva insostenibile e sulla mancata trasparenza proprie del settore della moda. “Come vengono realizzati i capi di abbigliamento e le calzature che vediamo esposti in maniera così accattivante e innocente nelle vetrine dei negozi d'Italia, Europa e del mondo intero?”: questa la domanda che necessitava di risposte.
Considerate le accresciute esigenze (e pressioni) dei consumatori, l'attenzione nei confronti di una moda sostenibile è cresciuta enormemente ed ha spinto le stesse aziende, ivi comprese le multinazionali leader del settore, a fronteggiare una serie di questioni fino ad allora eluse, a partire dai prodotti chimici presenti nel processo manifatturiero, dalla creazione di rifiuti ed emissione di anidride carbonica, fino alle condizioni dei lavoratori e ai materiali utilizzati - tra cui la plastica, reginetta indiscussa.
Adidas, la risposta al problema della plastica giunge nel 2016
Questo è infatti l'anno in cui l'impresa annuncia di voler realizzare, durante il 2017, un milione di paia di scarpe con poliestere riciclato. L'obiettivo annunciato è quello di eliminare definitivamente la plastica vergine dai processi di produzione e distribuzione entro il 2024. Un progetto ambizioso che sprona l'azienda a investire in ricerca per trovare soluzioni alternative. Nel frattempo, la quantità di paia di scarpe in poliestere riciclato è salita a 5 milioni nel 2018, e si prevede aumenti ancora fino alla non irrilevante cifra di 11 milioni di paia poste sul mercato entro la fine del 2019.
Nonostante questa cifra rappresenti solamente il 3% circa della produzione annuale di calzature firmate adidas, che nel 2018 ammontava a 409 milioni, essa costituisce l'espressione di un interesse ad un impegno progressivo - e inevitabile - in termini di sostenibilità che non può che essere incoraggiato.
L'obiettivo ultimo è infatti quello di arrivare ad un 100% di prodotti realizzati con plastica riciclata (per questo tuttavia non vi è ancora una data stabilita).
Parley for the oceans, una collaborazione quadriennale
Fin dalla sua nascita, il progetto gode del sostegno di Parley for the oceans, “la rete dove creatori,
pensatori e leader incrementano la consapevolezza sulla bellezza e la fragilità degli oceani e collaborano per arrestare la distruzione degli stessi” (dal sito ufficiale). Un movimento globale che agisce per proteggere gli ambienti marini dall'inquinamento e che pone plastiche, microplastiche, microfibre al centro delle proprie ricerche e attività - partecipando e portando il suo contributo anche in sede ONU e alle COP, le annuali Conferenze delle Parti sui temi di sostenibilità e ambiente.
Le microplastiche rappresentano una preoccupazione di enorme entità non solo a livello scientifico ma anche nella vita di tutti i giorni, perché sono talmente piccole (inferiori a mezzo millimetro quelle che gli studiosi sono in grado di analizzare) che possono essere rilevate in mare, nello stomaco degli animali, perfino nell'acqua del rubinetto. Risulta dunque cruciale che ognuno si attivi per contribuire a interrompere il circolo vizioso della plastica, dalla manifattura, all'uso, allo smaltimento. L'impegno di adidas non deve fermarsi qui ma coinvolgere tutti gli aspetti della catena produttiva fino alla vendita, ma soprattutto deve essere solo una goccia all'interno delle iniziative che devono essere intraprese a livello globale per invertire la rotta, per salvare gli oceani e noi stessi.
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