Ormai è un dato di fatto, l’ultimo DPCM del presidente del consiglio Giuseppe Conte ha mietuto un’altra vittima: i luoghi di cultura, imponendone la chiusura da venerdì 6 novembre a giovedì 3 dicembre.
“Con i passi avanti che faremo, chiuderemo anche i musei” sono state queste le parole del ministro dei beni culturali Dario Franceschini, ma, qualcuno si è mai soffermato con attenzione sulla parola “beni culturali”?
Secondo l’Enciclopedia Treccani con tale termine si definiscono i beni che compongono il patrimonio culturale nazionale, nei suoi svariati aspetti: storico, artistico, archeologico, architettonico, ambientale, etno-antropologico, archivistico, librario, e altri che costituiscano testimonianza di valore storico-culturale, quindi, il valore primario del nostro paese. A questo proposito è presente un codice che tuteli i beni culturali e osservandone attentamente l’articolo 101 possiamo leggere le seguenti parole:
“1. Ai fini del presente codice sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.
2. Si intende per:
a) "museo", una struttura permanente....
b) "biblioteca", una struttura permanente...
c) "archivio", una struttura permanente...”
Come si può notare a primo impatto, il termine permanente è ricorrente all’interno dell’articolo e citando il dizionario del Corriere della Sera, con questo termine viene indicato “qualcosa che dura nel tempo, che prosegue senza interruzioni”.
Che prosegue senza interruzioni.
Considerando la situazione attuale e l’aumento dei contagi a causa del Nuovo Corona Virus si prende atto che gli esperti ritengono che per arginare il fenomeno si debba ricorrere alla chiusura anticipata di luoghi che favoriscono gli assembramenti, ma che senso ha avuto chiudere i musei, i teatri e le biblioteche dal momento in cui sono stati attivati tutti i protocolli di sicurezza e prevenzione? Il lockdown di Marzo costò ai musei statali Italiani circa 78 milioni di euro, le biblioteche avevano attrezzato gli spazi con costose ristrutturazioni per evitare l’assembramento nelle sale e dividendo le entrate dalle uscite, garantendo l’igiene ponendo dispenser di igenizzante mani all’entrata e assicurandosi che ogni persona presente all’interno della struttura indossasse la mascherina mantenendo, ovviamente, le distanze di sicurezza. La situazione dei teatri poi è paradossale: la perdita degli incassi nello spettacolo è stimata 64 milioni di euro rispetto ad un volume di incassi su base annua di circa 3,146 miliardi. Nel periodo che va dal 15 giugno al 10 ottobre 2020 sono stati registrati 2.782 spettacoli, 347.262 spettatori e...1 solo contagiato.
Un solo contagiato.
Questa foto ha fatto il giro d’Italia accompagnata dai tanti hashtag lanciati sui social per supportare gli artisti di teatro come attori (#ilteatrononsiferma) e danzatori (#ladanzanonsiferma) che attualmente sono a casa. A proposito, non bisogna dimenticarsi di tutte le strutture sportive e artistiche come palestre, scuole di danza e piscine che hanno subito la stessa sorte lasciando senza lavoro, o con un minimo sussidio da parte dello stato milioni di allenatori, atleti e artisti, per non parlare dello stop di tutti i corsi che hanno provocato un forte disagio soprattutto tra i giovani, che attualmente mancano di un punto fisso che poteva risiedere nella “pratica della cultura”.
Non sarà sicuramente la cultura ad aggravare “la gravità della situazione che stiamo vivendo” come ha detto il ministro Franceschini, perciò, perché chiudere?
Come si fa a pensare che uno spazio come la biblioteca possa favorire il contagio in presenza di un’esclusiva consultazione dei documenti a domicilio e di spazi contingentati con un numero di ingressi proporzionali rispetto alla superficie della struttura?
Perché privare gli italiani dell’alternativa di poter leggere almeno a casa prendendo in prestito un libro o un film da guardare in famiglia, con un tempo di permanenza nella struttura appena necessario alla scelta e ad effettuare il prestito del materiale?
Perché privare gli Italiani di un bene pubblico e gratuito costringendoli ad una fruizione online, quindi privata e a pagamento, che riduce la diffusione della cultura?
Perché privare gli Italiani di andare a teatro il sabato sera mantenendo le distanze di sicurezza?
Perché privare gli italiani di avvalersi della bellezza delle opere esposte nei musei, seppur con un numero ridotto di visitatori, in un momento in cui più che mai abbiamo bisogno di appellarci alla cultura?
È ipotizzabile che privare, soprattutto i giovani, di una cultura libera e diffusa possa essere conveniente per qualcuno interessato a ridurre la capacità critica e l’indipendenza delle future generazioni?
09/11/2020
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