Le bombe inesplose rimaste nelle aree dei combattimenti, come le mine antiuomo, causano ogni anno nel mondo la mutilazione degli arti o la morte di migliaia di civili, la maggior parte bambini, e precludono l’uso di ampi territori alla popolazione civile. D’altra parte, l’individuazione e la rimozione degli ordigni bellici è uno dei lavori più pericolosi al mondo: quando si deve disinnescare una mina il rischio più grande lo assume chi va per primo.
Da anni un gruppo di ricerca dell’Ateneo coordinato da Lorenzo Capineri, docente di Elettronica presso il Dipartimento di Ingegneria dell’informazione dell’Università di Firenze, lavora su metodi e tecnologie elettroniche utili a rendere più efficiente e sicuro lo sminamento umanitario.
La ricerca fiorentina è stata al centro di un primo progetto della Nato dal 2015 al 2018 nell’ambito del programma “Science for Peace and Security”. Il risultato è stato un prototipo di robot innovativo, “UGO-1st”, capace di rintracciare gli ordigni nascosti senza mettere a rischio gli artificieri. Lo strumento, che va oltre alla tecnologia del metal detector applicabile ai soli ordigni con contenuto metallico, si basa sull’associazione di due diversi tipi di radar: uno, ad impulsi ad azione rapida, scandaglia il terreno fino alla profondità di alcuni centimetri e arresta il robot non appena rileva un oggetto nel suolo; l’altro, di tipo olografico, crea immagini per mostrare all’operatore che tipo di oggetto ha fatto fermare il robot.
Ma ora la ricerca raddoppia. La Nato, sulla base dei primi promettenti risultati, ha finanziato un nuovo progett o dal 2020 al 2023, dal titolo “Multi-sensor cooperative robots for shallow buried explosive threat detection – DEMINING ROBOTS”, guidato dall’Ateneo fiorentino. Lo scopo è quello di consolidare e sviluppare le ricerche per dimostrare la fattibilità di un sistema di rilevamento sicuro di mine terrestri e di ordigni realizzati con materiali non convenzionali.
15/02/2021
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