È passato un anno ma è cambiato poco. Malgrado le promesse del presidente Joe Biden, che il giorno della sentenza contro Derek Chauvin promise: «Non possiamo fermarci qui. È stato compiuto un passo avanti contro il razzismo sistemico che è una macchia nell’anima nel nostro Paese». Eppure la morte di George Floyd sembra avere insegnato poco.
Non tranquillizza la condanna tra i 15 e i 40 anni di carcere, il giudice Peter Cahill deve ancora emettere il verdetto, contro l’agente della polizia di Minneapolis Derek Chauvin che il 25 maggio del 2020 fermò il 46 enne afroamericano, soffocandolo con un ginocchio alla gola. «I can’t breathe», le sue ultime parole, sono diventate il grido di Black Lives Matter, il movimento che ha incendiato l’America, arroventato i ghetti travolti dai riots contro la polizia.
Secondo uno studio del Pew Research Center quattro americani su dieci pensano che il retaggio della schiavitù, condizioni ancora la percezione della comunità afroamericana nella società moderna, malgrado siano passati 150 anni dalla abolizione della tratta di uomini. A esserne intrisa è la cultura diffusa. Quella che anche da noi fa ritenere una leggerezza chi ancora usa la parola «negro», pensando che sia meno grave solo perché non viene usata la pistola come fece l’agente Derek Chauvin contro George Floyd. Dimenticando che per tirare un grilletto prima ci vuole un pensiero e dunque una parola.
26/05/2021
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