Nell'Iran contemporaneo, un'ombra del passato oscuro si allunga di nuovo sulle strade. La polizia morale, strumento di repressione noto per il suo zelo nel far rispettare i dettami della legge islamica, ha ripreso la sua attività di sorveglianza, soprattutto nei confronti delle donne che osano mostrare il capo scoperto in pubblico.
Questa nuova ondata di repressione è stata avviata il 13 aprile scorso, coincidendo con un momento di tensione internazionale dopo un attacco diretto dell'Iran contro Israele. Da allora, le strade di città come Teheran sono state nuovamente invase da pattuglie della polizia religiosa, pronte a punire coloro che osano sfidare l'obbligo del velo.
Il motivo dietro questa decisione risiede nella volontà degli ayatollah di mantenere saldo il controllo sociale, soprattutto di fronte alla crescente sfida rappresentata dalle donne e da coloro che si oppongono alle rigide regole della Sharia. La campagna "Noor", che in persiano significa "Luce", è stata lanciata come un richiamo al dovere di rispettare la legge, secondo gli insegnamenti religiosi.
Le donne sono le principali vittime di questa stretta. Molti sono stati gli episodi di abusi e violenze, come quello che ha portato al recente attacco di panico di una giovane a Tajrish, testimoniato da un video virale. L'hashtag "#guerracontrodonne" ha cominciato a diffondersi sui social media, testimoniando la crescente indignazione pubblica.
Ma non sono solo le donne a essere prese di mira. Anche giornalisti, attivisti e oppositori politici subiscono le conseguenze di questa repressione. Giornalisti come Dina Ghalibaf sono stati arrestati per aver rifiutato il velo, mentre altri, come Pouria Zeraati, sono stati oggetto di attentati. Persino familiari di attivisti sono stati coinvolti, come nel caso della sorella di Nika Shakarami, uccisa durante le proteste.
Secondo le autorità, queste misure sono necessarie per mantenere l'ordine sociale e rispondere alle richieste dei cittadini devoti. Tuttavia, per molti attivisti e oppositori politici, si tratta di un tentativo di scoraggiare qualsiasi forma di dissenso in un momento di vulnerabilità per il regime, soprattutto a causa del coinvolgimento dell'Iran in conflitti internazionali come quello nella Striscia di Gaza.
La legge sull'obbligo del velo è diventata un simbolo di oppressione per molti iraniani, soprattutto dopo la morte di Mahsa Jina Amini, studentessa curdo-iraniana deceduta mentre era in custodia della polizia morale nel 2022. La sua morte ha scatenato proteste che hanno ricordato i giorni più bui della rivoluzione khomeinista del 1979.
Nonostante la repressione, molti iraniani continuano a resistere, mostrando i capelli in segno di disobbedienza civile. Persone come Narghes Mohammadi, premio Nobel per la pace e storica attivista dei diritti umani, continuano a lottare per la libertà e la dignità di tutti gli iraniani, anche da dietro le sbarre di un carcere oppressivo.
In un Iran diviso tra tradizione e modernità, la lotta per i diritti fondamentali continua, alimentata dalla speranza di un futuro migliore, libero da repressione e ingiustizia23/04/2024
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